Uno dei temi su cui ho riflettuto più a lungo ultimamente ha a che fare con qualcosa che - curiosamente - non era nei miei pensieri fino a qualche mese fa.
Anche se è banale realizzarlo, non lo avevo fatto finora: mi sono, semplicemente, reso conto che tra cinquant'anni ragionevolmente sarò morto (ed è uno scenario piuttosto ottimista, è possibile che accada prima) e il punto chiave è che di
quello che ho detto e fatto nei miei anni su questo pianeta non importerà nulla a nessuno.
Poiché solo una insignificante percentuale di noi lascia una traccia del proprio passaggio riuscendo in qualche modo a cambiare il mondo o donando in eredità al futuro opere, arte o innovazioni, è certo che praticamente ognuno è di passaggio e verrà per forza di cose dimenticato, presto o tardi.
Questa visione dell’intero arco della nostra vita, se da una
parte può sembrare cinica e un po’ catastrofica, in realtà racchiude in sé un principio di mindset realmente in grado di aiutarci a vivere con la giusta consapevolezza e leggerezza il quotidiano.
Mi capita infatti a volte di occuparmi del percorso (o semplicemente di ascoltare i racconti, le emozioni e le considerazioni) di persone che hanno agganciato alle sfide quotidiane, di lavoro e di vita privata, un peso che poi - nei fatti - è assurdo
assegnare.
Certe volte è bene ricordarcelo: il nostro lavoro, alla fine… è solo un lavoro. Quel meeting che pare fondamentale per il nostro futuro e la nostra carriera è solo una diavolo di riunione, un momento casuale nella storia del tempo in cui un’infinitesima percentuale della popolazione della terra si incontra e parla di cose irrilevanti. Quella persona che si allontana lasciandoci colmi di domande e recriminazioni non sarà altro che un bel ricordo tra qualche
primavera.
Quando ti senti pressato dal quotidiano decidi almeno qualche volta di fermarti e chiediti: sarà importante allo stesso modo tra cinque anni? E tra venti?